Hic sunt leones
Hic sunt leones è il racconto di ciò che rimane di un sogno, delle persone che l’hanno realizzato e del luogo in cui tutto questo si è realizzato.Alla base di questo sogno c’era l’idea di realizzare una macchina sportiva dalle prestazioni estreme: una hypercar che non avrebbe avuto rivali, tra le super sportive dello stesso periodo.Grazie alle conoscenze presenti sul territorio, e ad una non comune capacità di riuscire a fare squadra, in pochissimo tempo si passò dal progetto su carta ai giri record in pista.È in questo contesto, che un ristretto gruppo di “sognatori”, composto da tecnici ed ingegneri, fece nascere la Bugatti EB110.
Hic sunt leones, il libro
Grazie al servizio offerto dal sito internet Blurb.com, ho pubblicato il libro fotografico “Hic sunt leones, la fabbrica blu e la parentesi italiana della Bugatti“. Il libro ha un formato 18×18 cm, copertina morbida e contiene 40 pagine con testi e fotografie stampate su carta Premium.
Indice
Introduzione | La parentesi italiana della Bugatti Automobili | La fine del sogno | Dettagli del progetto
Introduzione
Prendi un giorno di sole, come non molti ne regala in inverno la terra dei motori, e vai a fare visita alla Fabbrica Blu. Già, la Fabbrica Blu, quella che fin dai primi anni Novanta mi faceva sognare, tutte le volte che la vedevo, appena dopo aver imboccato la A22, a Campogalliano. Fin da allora lo ritenevo un luogo speciale. In primis per via di quelle incredibile automobili che vi venivano prodotte, e poi per il fascino di quella fabbrica avveniristica.
In quei primi anni dell’ultimo decennio del secolo scorso, tuttavia, mai nessuno poteva immaginarsi, che l’avventura italiana della Bugatti Automobili, sarebbe stata così breve.
La parentesi italiana della Bugatti Automobili
Tutto si mette in moto nel 1987, quando l’industriale Romano Artioli decide di rilevare il marchio Bugatti dagli eredi di Ettore Bugatti, con la precisa idea di tornare a realizzare un’auto sportiva, degna di quel nome, e senza rivali tra le altre supercar dello stesso periodo.
Dopo aver valutato differenti soluzioni, decide di realizzare lo stabilimento di produzione là dove risultava più facile trovare tecnici ed ingegneri all’altezza di questa sfida: in Emilia. In quello stesso fazzoletto di terra dove già sorgevano realtà come Ferrari, Lamborghini, Maserati e De Tomaso e stava nascendo la Pagani.
È così che prende il via, a Campogalliano, l’avventura italiana della Bugatti Automobili S.p.A.
Contemporaneamente allo sviluppo della macchina, viene avviata la progettazione architettonica della fabbrica.
Lo sviluppo dell’automobile è in un primo momento affidato all’ingegner Paolo Stanzani, già papà della Lamborghini Miura, mentre la progettazione della fabbrica è affidata allo studio Benedini&Partners di Mantova. Entrambi i progetti arrivano a compimento in tempi molto brevi, infatti, sia lo stabilimento che il prototipo, di quella che sarà l’EB110, sono pronti nell’estate del 1991.
La stessa filosofia adottata nella progettazione dell’EB110 è stata applicata alla realizzazione dello impianto di produzione: ogni singolo aspetto di questa fabbrica, era stato pensato, con il preciso intento di realizzare un luogo speciale e fortemente emozionale.
Questo perché sia Artioli che l’architetto Benedini ritenevano che ciò fosse importante per i lavoratori, che in un posto del genere sarebbero stati ispirati per dare il meglio delle proprie capacità, sia per i clienti, che sarebbero dovuti rimanere stupiti dalle ricercate soluzioni e dalla bellezza profusa in ogni dettaglio.
L’idea di Artioli non era infatti quella di creare solo una fabbrica di produzione di automobili, ma di offrire un’esperienza indimenticabile ai potenziali clienti, che, in questo posto, arrivavano da ogni parte del mondo. In questa fabbrica si poteva arrivare in Ferrari o Lamborghini, ma si doveva uscire in Bugatti.
Marketing esperienziale e branding emozionale arrivarono in questo angolo di pianura padana molto prima che, qualcuno, dall’altra parte dell’oceano, ne capisse l’importanza e l’applicasse su prodotti di largo consumo.
Vediamo ora cosa rimane di quel sogno, andando alla scoperta di ciò che resta della Fabbrica Blu della Bugatti Automobili.
L’esperienza iniziava ancora prima di varcare il cancello d’entrata della fabbrica, quando l’apertura automatica dello stesso, poteva essere effettuata tramite badge magnetico, posizionato a comoda “altezza di auto sportiva”.
Una volta oltrepassato il cancello, ci si trovava immersi in un ampio spazio verde. All’interno di questo parco, del quale erano state studiate nel dettaglio le dominanti cromatiche, legate alla variazione delle stagioni dell’anno, la vegetazione era in perfetta armonia con le superfici vetrate delle palazzine, destinate agli uffici degli impiegati, e all’accoglienza dei clienti.
Il “dentro” degli uffici, e il “fuori” degli spazi verdi, si univano in un tutt’uno di forme, che, da un lato, faceva sentire l’ospite subito a casa, e dall’altro, offriva un gran senso di rilassatezza, alle persone, che in questi uffici, passavano tutta la giornata.
Oltrepassando le palazzine degli uffici si incontrano i primi capannoni di produzione. È in questi spazi che vennero assemblati i prototipi delle prime autovetture. Oltre quei vetri e quei portoni, infatti, fu realizzato il primo esemplare di quella che sarebbe poi risultata essere l’unica automobile “di serie” entrata in produzione in questo stabilimento: la Bugatti EB110.
Negli anni successivi alla realizzazione del prototipo, questi spazi furono utilizzati per la ricerca e lo sviluppo di componenti dell’automobile. In tutto lo stabilimento erano tre le zone denominate “Esperienza”, dedicate alla ricerca e allo sviluppo di elementi o parti delle autovetture. L’ingresso in queste zone era limitato a quei tecnici ed ingegneri che erano in possesso del codice d’accesso.
Dopo i capannoni bianco e blu, che furono anche i primi ad essere costruiti, si incontrano gli spazi dedicati alla produzione dei pezzi meccanici e alla linea di assemblaggio. Molte parti della EB110 erano lavorate o trasformate internamente alla stessa fabbrica, così come l’assemblaggio, ed il collaudo delle stesse autovetture.
La prima sensazione che si percepisce, una volta entrati all’interno degli spazi produttivi, è quella di essere arrivati in un luogo in cui è stata scritta una parte della storia dell’ingegneria applicata alle automobili in Italia.
Arrivando in questo posto mi tornano subito alla mente i dati di quell’incredibile supercar: telaio mono scocca in fibra di carbonio, quattro turbo compressori, trazione integrale, 5 valvole per cilindro.
Insomma, per l’epoca, un capolavoro di tecnica e ingegneria.
Ma il presente è avaro di ricordi, e lì, dove una volta c’era la linea d’assemblaggio, ora c’è solo un grande spazio vuoto.
La grandezza dello spazio è ulteriormente amplificata delle vetrate laterali, che si alternano alle pareti. Tale alternanza offre una grandissima luminosità e rilassatezza, ma al contempo amplifica anche la sensazione di vuoto che questo spazio trasmette.
Lungo la linea di produzione, sviluppata a catena di montaggio, ogni operatore aveva a disposizione una colonna mobile, nella quale erano presenti tutte le possibili connessioni elettriche e pneumatiche di cui si poteva avere bisogno. Nel reparto delle macchine CNC erano presenti i migliori macchinari dell’epoca. Nel locale mensa, dove gli operai mangiavano insieme ai dirigenti, erano esposte delle gigantografie di automobili. Insomma dappertutto, ancora oggi, si percepisce l’attenzione che era stata data ai dettagli: niente in questo luogo era stato lasciato al caso.
Tutto intorno allo stabilimento, si snodava la pista di test sulla quale erano testate le automobili, e sulla quale, i potenziali clienti, potevano saggiare le emozioni che l’EB110 era in grado di regalare loro.
Negli spazi interni degli uffici dominano i toni del bianco e i materiali organici e preziosi. Pavimenti in marmo alla reception, sanpietrini nella sala mostra, sono solo alcuni degli esempi di materiali utilizzati per l’arredamento di questi spazi.
Anche nella palazzina degli uffici si ritrovano gli stessi punti luce visti in produzione, questi furono realizzati esclusivamente per lo stabilimento della Bugatti Automobili. Impressiona vedere gli spazi vuoti della reception, degli uffici e delle sale mostra.
Il vuoto di oggi stona con il ricordo delle persone che vennero in questo, posto durante gli anni di attività della fabbrica. Della vitalità e frenesia di quei tempi rimane solo qualche segno qua e là: una bandiera del Giappone, probabilmente l’ultima delegazione ricevuta e l’agenda della reception con gli ultimi visitatori registrati.
La fine del sogno
Come un fulmine a ciel sereno il sogno finì il 23 settembre 1995. In quella data fu infatti dichiarato il fallimento della Bugatti Automobili, in quel sabato di settembre furono posti i sigilli agli impianti di produzione. Nello stesso momento in cui gli ufficiali giudiziari apponevano i sigilli, all’interno della fabbrica erano presenti dei tecnici che stavano finendo di preparare la macchina per la gara di Le Mans.
I debiti accumulati dalla gestione industriale di Artioli saranno pure stati alti, si parla di oltre 180 miliardi di lire, ma di certo nessuno si aspettava un epilogo così violento.
Ancora oggi, dopo oltre vent’anni da quella data, la vicenda rimane avvolta nel mistero, e non risulta facile capire, dove finiscano i demeriti imprenditoriali, e dove inizino i complotti ed i sabotaggi.
Ad oggi, ciò che rimane di quell’avventura, sono le 126 EB110 terminate e vendute, e quei tre prototipi di EB112, berlina sportiva, dal design molto simile a quello dell’attuale Porsche Panamera.
Il marchio Bugatti fu venduto, nel 1998, per una lira alla Volkswagen, nel tentativo di limitare gli effetti del crac, e con l’intento di fare sopravvivere il marchio al fallimento della Bugatti Automobili.
In uno dei calendari appesi alle pareti del reparto esperienza, in corrispondenza della data del 23 settembre 1995, è stata aggiunta la scritta “hic sunt leones“. Dopo avere visitato questo luogo, e dopo aver riscoperto tutto quello che è stato fatto, dalle persone che qui hanno lavorato, anch’io, posso dire, che in questo luogo ci sono stati dei leoni.
Se volete visitare questo Tempio dell’automobilismo, potete contattare il custode, tramite la pagina Facebook: “Bugatti Automobili Campogalliano“.
Dettagli del progetto
Fotocamere: Canon Eos 5D MkIII, Canon Eos 6D
Obiettivi:Canon EF 24-70 f/2.8 L II, Canon EF 16-35 f/4.0 L IS
Periodo Realizzazione:febbraio 2017
Pubblicazioni: Platform AD, La Repubblica Bologna